Una maschera da sogno

Una maschera da sogno

Publio si era svegliato prima del solito quella mattina. Non era abituato a quel silenzio: in casa tutto era immobile e perfino i servi ancora non si erano messi in moto. Lui invece non riusciva proprio a stare fermo: non stava più nella pelle all’idea che di lì a poche ore avrebbe preso parte alla festa organizzata dal suo eccentrico zio. Era la prima volta che partecipava a quello che senza dubbio riteneva l’evento più memorabile dell’intero anno.

Lo zio di Publio era un ricco imprenditore, appassionato di commedia, mimo e musica. Quasi per caso, qualche anno prima, aveva ritrovato alcuni suoi amici di infanzia che lo avevano coinvolto nell’organizzazione degli spettacoli giù al teatro. Publio non perdeva occasione per accompagnare lo zio e sbirciare le prove da dietro le quinte: lo affascinavano soprattutto i volti grotteschi delle maschere portate dagli attori, con i tratti marcati e spesso spaventosi. Alcune volte restava così impressionato da non riuscire a prendere sonno; altre, per la gioia di sua madre, si svegliava di soprassalto la notte, dopo un brutto incubo popolato da maschere urlanti. Eppure c’era qualcosa di magnetico, che, malgrado la paura, lo spingeva a tornare a teatro il giorno dopo, come se nulla fosse accaduto.

Finalmente sarebbe toccato a lui indossare una maschera e spaventare qualcun altro. Era eccitatissimo: lo zio anche quest’anno non si era smentito e aveva organizzato una delle sue stravaganti ed eccessive feste. Mancavano davvero poche ore e mentre le sue sorelle avevano già provato e preparato vestiti e accessori, lui ancora non si era deciso. La mamma gli aveva suggerito alcuni buffi travestimenti e aveva chiesto a Thymele di cucire delle prove per il figlio, in modo che potesse indossare i diversi costumi e decidere quale facesse al caso suo. Ma lui non voleva affatto essere buffo: voleva sorprendere lo zio, con qualcosa di inatteso, di straordinario, o così andava dicendo per casa da giorni, crucciandosi in attesa della giusta ispirazione. Quella mattina decise che doveva assolutamente arrivare al dunque: due passi e una boccata d’aria gli avrebbero di certo chiarito le idee. Sarebbe arrivato fino agli orti in fondo alla strada: là riusciva sempre a farsi regalare un frutto da Felix, il simpatico e allegro giardiniere degli Aratri, che sicuramente gli avrebbe dato qualche dritta.

Così uscì dalla piccola porta a lato del giardino, superò in un baleno la casa di Marco e Gaio, salutò il pescivendolo che come ogni mattina stava preparando il banco e arrivò alla piazzetta con la fontana dei leoni. Si fermò a prendere fiato e a rinfrescarsi il viso.

“Ehi, ragazzino, avvicinati!” – Publio si voltò e si guardò attorno: chi poteva averlo chiamato? Forse un liberto del padre o il fratello di uno dei compagni di scuola? Non riconosceva nessuno tra coloro che se ne stavano affaccendati in piazzetta e del resto quella voce non gli era per nulla familiare.

“Da questa parte, sono io che ti chiamo!” – Publio vide allora un vecchio, seduto su un muretto, fissarlo con uno strano sguardo, privo di luce. Publio pensò, tra sé e sé, che non avrebbe avuto nulla da temere da quel povero anziano e che, tutto sommato, non c’era alcun rischio. Si avvicinò e gli parlò: “Sono Publio, figlio di Numerio, come fai a sapere che sono un ragazzino, se sei cieco?”

Il vecchio scoppiò in una fragorosa risata: “Io so moltissime cose, non ho certo bisogno degli occhi per vedere. Ho vissuto più vite di quante tu creda e visitato luoghi lontani. Ho conosciuto gli dei e ci ho parlato: nel mio cuore conservo i loro messaggi”. Publio rimase conquistato da quelle parole, anche se, come gli aveva insegnato mamma, era meglio diffidare dagli estranei, specialmente se si vantavano di avere dei superpoteri! Così provocò il vecchio: “Se davvero parli con gli dei, allora potrai leggere nel cuore degli uomini!” – “Certamente! Anzi, è la cosa che maggiormente mi diverte: non puoi immaginare in quante cose bizzarre mi imbatto ogni giorno. Ad esempio, so che tu sei molto preoccupato e stressato, anche se sei solo un bambino e tutto per te dovrebbe essere leggero e divertente”.

“E questo ti fa ridere? Oggi per me è una giornata importante: dalla reputazione che mi farò questa sera, dipenderà il mio futuro!”

“Calma, calma, piccolo Publio! Non è certo il giusto approccio ad una festa in maschera!”

“Che cosa? Io non ho affatto parlato di una festa…”

“Te l’ho detto, io so più cose di quante tu creda. So, ad esempio, che pensi di dover stupire il tuo caro zio e che hai paura di non essere all’altezza delle bizzarre maschere del teatro che ti affascinano tanto. Vorresti lasciare tutti a bocca aperta e dimostrare alla tua mamma che non sei solo il suo tenero bambino, ma un piccolo artista di talento, dotato di genio e fantasia”.

Publio rimase a bocca aperta; arrossì, incerto sul da farsi: indietreggiare, senza dire una parola, voltarsi e raggiungere gli orti o sedersi accanto al vecchio e farsi rapire dallo strano incanto che era riuscito a creare?

“Per trovare la maschera giusta, devi prima guardare dentro di te. Cosa vorresti suscitare con il tuo travestimento?!”

Publio chiuse gli occhi, respirò a fondo per tre volte, riempiendo i polmoni di tutta l’aria che riusciva a trattenere e poi buttando fuori tutto, piano, centellinando il respiro.

Vorrei che la loro meraviglia fosse infinita, come il mare che si perde a vista d’occhio. Vorrei che provassero il brivido e l’emozione che il pubblico prova al circo, quando nelle corse il coraggio dell’auriga supera ogni suo timore e spinge al limite i propri cavalli subito prima dell’ultima curva. E infine vorrei che mi stimassero per il mio giovane genio creativo, come si stima un filosofo greco, di quelli che stanno al centro dei discorsi dei grandi nei pomeriggi d’estate alle terme. Vorrei trovare una maschera che abbia tutte queste caratteristiche”.

“Bene, allora. Vuoi una nave che solchi i mari fino alla linea dell’orizzonte; vuoi un purosangue a briglie sciolte lanciato al galoppo e infine vuoi qualcuno che un po’ mi somigli, quindi. Questo sarà il tuo travestimento”.

Publio sentì una mano sulla spalla. Aprì gli occhi: era sua madre. Si stropicciò un po’ la faccia, si guardò intorno e realizzò di essere nel suo letto. Era stato tutto un sogno. Non ci poteva credere! Cercò di raccontare tutto a colazione, ma nessuna delle sorelle gli diede retta: “Fratello, tu come sempre hai davvero troppa, troppa immaginazione!”.

Publio per una volta non si offese: forse era proprio vero, forse aveva troppa fantasia. Di certo aveva trovato una maschera che avrebbe lasciato tutti a bocca aperta.


scritto da: Servizio Educativo del MAN


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