Qualcosa da tenere accanto al cuore

Qualcosa da tenere accanto al cuore



“In amore vince chi fugge e allora tu, caro Pinna, hai perso in partenza!”

“Come ti sbagli, Harpago! Proprio perché è l’inseguimento la mia specialità, non c’è donna al mondo che io non possa avere!”

“Meno parole e più spettacolo, smettetela di chiacchierare come due serve al mercato e allenatevi! I munera sono la settimana prossima e avete tutti e due dei combattimenti in programma, o ve lo siete dimenticato?”

Pinna fece un cenno all’amico da dietro la visiera del suo pesante elmo, sicuro che Harpago l’avrebbe subito colto. L’amico rispose sollevando in modo impercettibile l’angolo sinistro della bocca. Non c’era da scherzare troppo con questo nuovo istruttore: era arrivato da una settimana soltanto, direttamente da una delle grandi scuole gladiatorie di Roma e già aveva messo in riga tutti quanti. Ma Pinna e Harpago avevano ormai il loro codice, fatto di cenni e movimenti familiari, appresi l’uno dall’altro nell’anno trascorso ad allenarsi insieme. Un anno forse è solo un momento nella vita di un uomo, ma per un gladiatore è un tempo lunghissimo.

Era questa la loro alchimia: avversari sul campo di addestramento, amici e complici in tutto il resto. Quando Pinna arrivò ad Aquileia, era da poco diventato secutor. Con il suo fisico ben piazzato e quell’abilità di gambe, in verità, non poteva essere diversamente. Lo misero subito in coppia con uno dei reziari più esperti, con l’idea di farlo crescere e migliorare velocemente nella tattica di combattimento, il suo punto debole. Harpago aveva solo due anni più di lui, ma aveva già affrontato una decina di spettacoli: era veloce e più astuto di molti compagni, sapeva come muoversi e sopra ogni cosa sapeva leggere con anticipo le mosse dell’avversario.

Sorprendentemente i due divennero subito amici: non c’erano invidie o gelosie a separarli. Sapevano bene di essere uniti in un comune destino e avevano deciso di prendere il buono che la breve vita da gladiatore avrebbe potuto offrire. Anche in questo Harpago era di certo il più esperto: aveva già messo da parte qualche somma e assieme al loro impresario era stato ospite di alcuni salotti importanti alla ricerca di finanziatori e sostenitori. In alcuni degli stessi salotti era poi tornato, questa volta da solo e in sordina, per incontrarsi con le padrone di casa, o in alcuni casi, con le loro figlie, e intrattenere una conoscenza più approfondita, per così dire. Loro amavano lui e lui amava loro, più o meno tutte!

“È più facile per te, Harpago! Tu combatti a volto scoperto: le donne vedono i tuoi decisi occhi azzurri, scrutano le tue espressioni mentre combatti e chissà cosa si immaginano. Al primo sguardo finiscono tutte nella tua rete”.

“Frottole! Non è un bel viso che cercano. Per quanto mi alleni, non avrò mai il tuo fisico possente: ecco cosa impressiona davvero le ragazze. Per non parlare delle matrone, sposate a uomini d’affari, con le gambe molli e la pancia gonfia, a forza di intingoli e coppe di vino! I nostri corpi segnati dalle cicatrici le attirano come le api sul miele: ai loro occhi siamo fatti di passione e audacia. Amano noi gladiatori e il nostro spirito di sopravvivenza, scambiandolo per coraggio. Il loro desiderio dura quanto l’attesa di un frettoloso incontro. E tutto sommato, caro Pinna, non è poi così male.”

Sempre a inseguirsi quei due: Harpago incoraggiava l’amico a fare come lui, incalzandolo e canzonandolo. Pinna, proprio come sull’arena, schivava abilmente un tentativo dopo l’altro, avanzando scuse banali ed eludendo ogni domanda scomoda del compare. La verità era che a Pinna tutte quelle storie non interessavano poi molto, ma non voleva sembrare per questo poco virile agli occhi dell’amico. Le lusinghe delle ragazze lo compiacevano, ma non cercava distrazioni. Sperava di diventare il primo della sua categoria prima di morire: non voleva che il suo nome sui muri della caserma fosse legato soltanto alla prestanza atletica, sull’arena o tra le lenzuola. E poi nei suoi pensieri c’era già una ragazza: la figlia dell’impresario. Abitava poco distante dalla caserma gladiatoria e, anche se le era proibito, alle volte con la scusa di portare il pranzo al padre al posto della servitù, con il fratello si fermava ad assistere agli allenamenti: era così che Pinna l’aveva notata. Era bastato uno sguardo a far scattare la molla: in breve tempo lei era divenuta la più esperta conoscitrice dei suoi lineamenti, celati alle altre sull’arena dall’immancabile elmo. Amava quell’elmo: tanto pesante e scomodo quanto prezioso ai suoi occhi, indispensabile per proteggere il bel viso dell’uomo di cui si era innamorata. A differenza delle altre, era l’uomo che amava e non il gladiatore.

Entrambi sapevano che si trattava di un amore impossibile e darsi appuntamento era anche più rischioso di ogni altro incontro clandestino: se il padre di lei li avesse scoperti, avrebbe senz’altro cacciato Pinna o, ancor peggio, lo avrebbe destinato ad uno di quegli spietati incontri sine missione, nei quali nessuno dei partecipanti era destinato a sopravvivere.

L’intesa tra i due era però evidente e anche Harpago più volte aveva lanciato qualche insinuazione, che Pinna come sempre aveva lasciato cadere. Fu proprio quella mattina che le cose cambiarono: al termine dell’allenamento, l’impresario annunciò che presto sua figlia si sarebbe sposata e si sarebbe trasferita dall’altra parte della città. Per festeggiare dispose razioni extra di cibo per tutti i lottatori e una doppia seduta di massaggi per i vincitori degli scontri di quel giorno.

Quella sera, Pinna prese coraggio e decise di confidarsi con l’amico. Fu la loro chiacchierata più sincera: contrariamente a quanto aveva immaginato, Harpago non lo derise. Ascoltò il suo sfogo e gli assicurò appoggio e discrezione. Gli disse quel che lui in cuor suo già sapeva: purtroppo non c’era modo di cambiare le cose. Ma non avrebbe dovuto portare da solo quel peso e magari un modo per farlo sentire meglio si poteva trovare.

Passò qualche giorno.

“Eccoti, finalmente! Cominciavo a preoccuparmi! Sbrigati, oggi potrebbe anche essere il nostro ultimo giorno su questa terra, mica vorrai arrivare in ritardo?”

I due scoppiarono in un’amara risata. Pinna fece posto all’amico e gli passò la sua focaccia d’orzo. Harpago si sedette e gli consegnò un piccolo sacchetto: “Tieni, fai piano…Non siamo abituati a maneggiare questo tipo di cosupole”.

L’amico, incuriosito, rovesciò il contenuto sul palmo della mano: era un piccolo, delicatissimo elmo in ambra che imitava in tutto e per tutto quello di Pinna. Erano riprodotte perfino le squame che decoravano la calotta e aveva un piccolo foro passante proprio sulla sommità. Pinna non capì subito: non aveva mai visto nulla di più fragile e prezioso. Aveva mani troppo grandi e robuste per un gioiello simile.

“Oggi finalmente rivedi la tua ragazza. Cerca di sopravvivere nell’arena! Dopo lo spettacolo avrai l’occasione di avvicinarti: dalle qualcosa che ti appartiene. Potrà tenerti accanto al cuore. Consideralo il regalo di un famoso reziario al suo secutor preferito”.

Bevve d’un fiato dalla sua tazza, si alzò e fece per allontanarsi.

“Pinna, muoviti, oggi potrebbe anche essere il nostro ultimo giorno su questa terra, mica vorrai arrivare in ritardo?”

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