La Storia del Museo Paleocristiano

La cosiddetta “Via Sacra” sul porto fluviale consente al visitatore di passare nell’unico sobborgo superstite di Aquileia, posto nella zona nord- orientale, noto con il nome di Monastero. Il toponimo ricorda che il nucleo dell’agglomerato era costituito appunto da un edificio monastico, originatosi nel IX secolo quale cenobio femminile dell’ordine di S. Benedetto, arricchito da donazioni del Patriarca Poppone nell’anno 1036: dopo che nel corso del tempo vennero abbandonati gli altri centri religiosi del territorio, esso divenne “il monastero” per antonomasia.


Il decreto aulico del 30 ottobre 1782 sancì, all’interno delle riforme promosse da Giuseppe II, l’abolizione del monastero ed il trasferimento delle religiose a Cividale. Il patrimonio, incamerato dal Fondo di Religione, venne venduto nel 1784 al conte Raimondo della Torre- Hofer e Valvassina. A sua volta questi lo cedette nel 1787 al conte Antonio Cassis Faraone, che fece del complesso la sede famigliare dei soggiorni aquileiesi (il “Palazzo”), nonché il luogo deputato alla raccolta delle vestigia archeologiche, trovate nei suoi possessi oppure acquistate tramite passaggi di proprietà (così per la collezione del canonico Giandomenico Bertoli).
Nel 1852 il complesso venne comprato dal barone Eugenio de Ritter Záhony, legato agli ambienti finanziari triestini: qui nel 1882 venne ospitato l’arciduca Carlo Ludovico nel corso dell’inaugurazione dell’I.R. Museo.

A partire dal 1787, e tanto più dal 1852, cominciò una serie di lavori di trasformazione delle strutture monastiche, secondo le esigenze del momento, che condussero alla cancellazione o ad una profonda modifica degli ambienti: in particolare, l’edificio usato come chiesa venne adibito a “folador“, ossia ad ambiente per la vinificazione.
Proprio qui avvennero nel 1895 le prime scoperte, che portarono nel 1961 all’ultima modifica, quella a contenitore museale. In tale anno, infatti, scavi volti alla realizzazione di una cantina portarono in luce mosaici policromi conservanti l’attacco ad un’abside ad andamento pentagonale lungo il perimetro esterno, e circolare all’interno. Le indagini che seguirono furono dirette e registrate da Enrico Maionica: per ragioni contingenti il tutto venne poi coperto.
Nel 1949 venne evidenziata una situazione unica: il fabbricato agricolo, ossia la chiesa dell’ex monastero, aveva utilizzato nella sua installazione, senza soluzioni di continuità, i muri perimetrali di una struttura identificata come una basilica risalente alla fine del IV secolo. Si constatò che davanti ad essa vi era una parte settecentesca, una sorta di prolungamento dei volumi, avanzata di m 14 rispetto al nartece (portico), risultata dai lavori che demolirono l’antica facciata e portarono alla creazione di una nuova in stile neoclassico.
Questa zona ha rivestito un ruolo fondamentale nei progetti che riguardarono il complesso alla fine degli anni Cinquanta, quando venne deciso di pervenire ad una sistemazione che mantenesse l’intero edificio, anche nella sua veste di rara e degna costruzione rurale.


La volontà di creare un Museo quale punto di raccolta e di esposizione dei materiale cristiani (per un periodo che va dal IV al X secolo) trovò espressione, infatti, proprio nell’avancorpo, in cui venne realizzato un solaio a costituire un primo piano, e , al di sopra di questo, una galleria, quale secondo, strutture che consentono inoltre di fruire di una visione dall’alto dell’edificio cultuale.
A compimento dei progetti si è provveduto ad abbattere un muro settecentesco che divideva longitudinalmente il complesso, la cosiddetta “spina”: da esso si recuperarono numerosi frammenti architettonici alto medievali .

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